Il Barbet, un patrimonio da preservare

Il Barbet non è nato ieri. Alcune ipotesi lo presentano come un cane da caccia arabo giunto in Europa in seguito all’espansione saracena nell’VIII secolo. A volte si crede che il termine “Barbet” derivi da “Barbaria”, che definisce nel XVIII secolo il Maghreb. Secondo altri, il Barbet discenderebbe dai cani da pastore dell’Europa dell’Est, per una certa rassomiglianza generale. Ma tutti i cani di taglia media e a pelo lungo non sono necessariamente parenti stretti; per lo stesso motivo, se il Barbet ha potuto dare il suo contributo a certi Grifoni, forse non bisogna necessariamente farne l’antenato di tutte le razze di questo tipo.


Si potrebbe inoltre pensare che le tracce del Barbet vadano ricercate in Francia, dalle parti degli Spaniel, quei cani “da penna”, dal pelo abbondante e ondulato descritti nel XIV secolo nel famoso Livre de la Chasse di Gaston Phoebus. Alcuni di questi si sono potuti specializzare, poco a poco, nella selvaggina acquatica. A partire dal XVI secolo il Barbet, sebbene non possiamo essere sicuri del suo reale aspetto, acquista in ogni caso una sua identità: il termine che stava a significare semplicemente “uomo barbuto”, comincia ad applicarsi a un tipo di cane. È possibile che il Barbet a quel tempo si sia diffuso in altri paesi: il cinologo inglese Herbert Compton pensava che il cosiddetto “Water Dog” fosse arrivato dalla Francia verso la fine del Medioevo. All’inizio del XVII secolo, il Barbet riporta l’anatra con il re di Francia Enrico IV. Nel XVIII secolo, viene menzionato nei lavori dei naturalisti Buffon e Linné. Lo ritroviamo quindi, bicolore e riccio, sul pennello del pittore Oudry. Alcuni soggetti si guadagnano posti al fianco di nobildonne: così la principessa Adelaide, figlia di Luigi XV, passeggiava per Versailles con il suo Barbet bianco chiamato Vizir. Questi Barbet da compagnia daranno vita al Barbone.

 

Sorto dal passato

Nel XIX secolo il Barbet è ancora un cacciatore, a volte anche cane da ferma. I marinai l’avrebbero anche utilizzato per ripescare ciò che poteva cadere dalle imbarcazioni; non è comunque certo, sebbene lo si dica spesso, che il cannone nel ponte superiore dei piroscafi deve a lui il suo nome “barbette” (“barbette” è un termine usato nell’architettura militare per indicare una piattaforma sopraelevata che permetteva di fare fuoco con i cannoni dall’alto delle mura delle fortificazioni). Se il suo discendente il Barbone conobbe successo, il rustico Barbet subì nel XX secolo una grandissima disaffezione; l’espressione comune “crotté comme un Barbet” (inzaccherato come un Barbet) dà ad intendere una netta connotazione negativa. Nel periodo tra le due guerre, c’è solo il dottor Vincenti (“du Mas de la Chapelle”) ad allevare la razza. Una ventina d’anni fa, alcuni appassionati hanno fortunatamente cercato di rilanciarlo (ogni pioniere con la certezza di possedere il vero tipo di Barbet!).

Citiamo principalmente la signora Petre, figlia del dottor Vincenti, che ha allevato partendo da una base proveniente da quella di suo padre; la signora Bisconte, che possedeva una coppia scoperta alla SPA, iscritta al Libro delle origini francese a titolo iniziale, e che fece molta pubblicità in favore della razza; la signora Loiseau e la signora Lechniak. Al 1980 risale la fondazione del Club del Barbet e altri cani da acqua, che rinsanguò con il Barbone e con il Cao de Agua Portoghese. Un nuovo standard – il precedente risaliva agli anni trenta – viene pubblicato nel 1986, un altro nel 1999. Se il Barbet sembra salvato dall’estinzione, è un cane raro in Francia e all’estero, praticamente sconosciuto al di là dell’Atlantico.

 

Un cane “naturale”

Razza rustica e funzionale per eccellenza, è priva di qualsiasi preziosismo. Di taglia media, dal profilo mediolineo, il Barbet è costruito solido, con ossatura robusta, torace largo, costato cerchiato; la linea dorsale è leggermente convessa, il collo e il rene corti e forti. La coda è portata bassa, con l’estremità che forma un uncino. Il tipo di testa lo differenzia dal Barbone perché, diversamente da quest’ultimo, non si è cercato di conferirgli eleganza: sotto la sua zazzera arruffata si nasconde quindi un cranio rotondo e largo, un muso corto e ben squadrato. Gli occhi scuri sono piuttosto rotondi, le orecchie piatte e attaccate basse. Il pelo è abbondante e riccio, con la possibilità di avere diversi colori: nero, grigio, marrone, fulvo, sabbia, bianco, pezzato.

La semplicità è una caratteristica anche caratteriale: il Barbet è un cane facile da tenere, molto socievole con chiunque, uomini e consimili. Il suo buon umore è proverbiale, con l’età non perde dinamismo né la sua smoderata voglia di giocare. “Resta un bambino tutta la vita”, afferma Marc Bisconte. La presenza dei suoi padroni gli è veramente necessaria: lasciarlo solo tutto il giorno, potrebbe renderlo un distruttore. Non è per questo appiccicoso, ma viene a cercare le carezze per poi ritornare ai suoi giochi. Senza avere la funzione del cane da guardia, sa dare il campanello d’allarme.

Dal punto di vista dell’obbedienza, il furbo Barbet si rivela molto dotato. “Tuttavia non funziona come un cane da pastore: ciò che fa è principalmente per il proprio piacere oltre che per il padrone”, nota Françoise Lechniak, “è un attore nell’anima, e un pochino ladro!”. Un cane con una tale personalità non deve essere trattato in modo brusco: in generale, tenergli il broncio è già una punizione sufficiente. L’amatore del Barbet saprà apprezzare la scintilla di estro che questo buontempone sa mettere in tutto ciò che fa.

 

Un patrimonio da preservare

Eccellente nuotatore, il Barbet è istintivamente attratto dall’acqua, sia del mare che dolce, a qualunque temperatura. Protetto dal suo pelo idrofugo, vi si muove in modo molto disinvolto. Abbiamo addirittura visto alcuni esemplari che pescavano per conto proprio! “Di tutti i cani da acqua, è rimasto quello più vicino al modo di cacciare atavico”, afferma l’allevatore Rainer Georgii che possiede diverse di queste razze. Il Barbet viene utilizzato quindi su anatre, gallinelle d’acqua, marzaiole, beccaccini. Attento allo sparatore, resta sempre non molto lontano da costui. È apprezzata molto anche la sua resistenza, la facilità del richiamo e il riporto molto naturale. Ma se per alcuni il Barbet che si rispetti è solo un cane da acqua, per altri è un cacciatore polivalente; i tedeschi lo considerano un cane da ferma. “Il Barbet può anche cacciare fagiani, quaglie, lepri”, spiega Maurice Tripotin, uno che li utilizza, “ferma, ma non in modo molto deciso. Anche se il suo pelo può raccogliere delle sterpi, è in grado anche di svolgere le funzioni del cane da cerca. Si dice del Bracco che è principalmente un cane da ferma ma può lavorare anche in acqua; del Barbet direi l’inverso: che è principalmente un cane da acqua che può lavorare anche come cane da ferma”. L’altro aspetto della sportività del Barbet è l’Agility: Duel au Soleil des Marécages du Prince, di proprietà di Marc Bisconte, e F’Gary des Marécages du Prince, della signora Lechniak, rispettivamente Campione e Vice-campione di Francia durante gli anni novanta, hanno mostrato le grandi potenzialità della razza in questa disciplina, grazie alla sua velocità e alla componente ludica. Ma senza dubbio non è il cane più facile da condurre per un debuttante.

La salute del Barbet è solida come il suo aspetto, con una longevità di almeno 15 anni e dei vecchi esemplari in gran forma. Dal punto di vista della selezione, bisogna notare i cambiamenti ufficializzati dal Club con il nuovo standard: se prima la taglia minima era di 54 cm per il maschio e di 50 cm per la femmina, adesso è di 58 e 53 cm. Le posizioni sono molto diverse su questo argomento: se per alcuni questo rialzo della taglia si iscrive nel quadro di un lavoro volto all’omogeneizzazione, per altri è un’evoluzione prematura, se non addirittura nefasta. C’è inoltre un certo disaccordo in merito al pelo, molto riccio per alcuni, moderatamente per altri. Il nuovo presidente del Club, Jacques Goubie, vuole esercitare un ruolo di riunificatore: “Mi sono impegnato a restare per tre anni a capo del Club, con la speranza di riportare la serenità. Il Barbet è un elemento importante del nostro patrimonio cinotecnico; noi speriamo di incrementarlo”. Dopo un netto avvio negli anni ottanta, assistiamo in effetti a una stasi della produzione.

Ma piuttosto che perdere tempo in inutili polemiche cinofile, si deve pensare che ciò che conta è di fronte a noi: un’antica razza francese è ben rappresentata ai nostri giorni con esemplari felici in carne e ossa, e non con un semplice ricordo della storia…

 

Sophie Licari

(questo è articolo è stato pubblicato su “Vos Chiens Magazine”, décembre 2002, ed è qui riprodotto per gentile concessione del direttore della rivista, Serge Sanchès; traduzione di Massimo Chirivi)